Scrittobre – Giorno 2

Prompt: Strano Castello

Dal diario di J.H.,

18 ottobre

La nave è giunta a destinazione dopo dodici giorni. È stato un viaggio noioso, quasi privo di eventi se non per qualche turbolenza dovuta alle condizioni atmosferiche. Nulla che non avessi già affrontato durante i miei viaggi precedenti. Proprio per queste ragioni, non riuscivo a capire il nervosismo dell’equipaggio e dei pochi altri passeggeri a bordo con me. Il capitano, che reputavo persona di buon senso, era diventato sempre più nervoso e intrattabile all’avvicinarsi della meta. Un uomo a bordo mi aveva spiegato che durante gli ultimi giorni erano iniziati ad accadere strani piccoli incidenti: specchi rotti, vino prematuramente diventato aceto e la perdita del dito da parte del cuoco, in un incidente di lavoro. Apparentemente, tutti questi eventi erano stati collegati alla nostra destinazione ed essendo gli equipaggi superstiziosi di natura, questo aveva deteriorato la loro lucidità. Sbarcato dalla nave, mi accorsi che il porto era quasi deserto: in pochi viaggiavano verso quella destinazione. Le poche persone presenti cercavano un lavoro sulle navi e una via per scappare da questo posto dimenticato da dio. Tutto sommato, la prima impressione che ho avuto, è stata quella di un posto estremamente deprimente. Non c’era alcuna traccia nemmeno delle prostitute che abitualmente frequentavano i porti di ogni città, pronte a soddisfare i bisogni di viaggiatori ed equipaggi allo stesso modo.
Mi guardai attorno in cerca di qualcuno che fosse venuto a recuperarmi per portarmi alla mia destinazione, ma non intravidi nessuno. Rimasi perplesso e controllai l’orologio: avrebbe già dovuto essere qui. Un membro dell’equipaggio scaricò bruscamente i miei bagagli di fianco a me. L’uomo si guardava intorno nervosamente, il suo disagio attirò il mio interesse “Suvvia, avrà viaggiato in questo posto svariate volte… Cosa la turba così tanto?” chiesi incuriosito. La prima risposta fu quella di scuotere la testa, poi sputò per terra e infine disse “Questo posto è malato. Accadono cose strane qui… Non sono stupito che gran parte dei coloni lo abbiano abbandonato così in fretta”. Detto ciò, fece un gesto per allontanare la sfortuna e risalì sulla nave, senza guardarsi indietro. Le sue parole mi fecero riflettere. Effettivamente, quest’area aveva una fama sinistra da tempo immemore e molti di quelli che avevano provato ad insediarvisi, erano scappati via dopo qualche anno o erano scomparsi misteriosamente. Le storie raccontavano di strani esseri che si muovevano nelle tenebre e di animali estremamente aggressivi e affamati di carne umana. Ovviamente si trattava di leggende e racconti atti a giustificare il loro fallimento e la loro inadeguatezza di fronte alla sfida… Anche se tutti i resoconti e gli studi fatti sulle persone che avevano effettivamente resistito alle avversità e si erano stabile erano concordi sul fatto che la popolazione del posto avesse sviluppato tratti particolari e quasi unici. Ripresi a guardarmi intorno, sperando di intravedere la mia guida, senza alcun risultato. Sbuffando, presi le valigie che avevo portato con me e mi avvicinai all’uscita del porto. La strada che si snodava di fronte a me era sterrata. La natura aveva reclamato il proprio spazio, con enormi alberi contorti e dall’aria malsana che si stagliavano su entrambi i lati della via. Le uniche tracce di civilizzazione erano gli edifici fatiscenti alle mie spalle e i rumori provenienti dalla banchina. Spazientito, controllai di nuovo l’orologio ed estrassi i documenti dalla cartella dedicata al cliente che avrei dovuto incontrare. Apparentemente, si trattava di un discendente di una famiglia nobile di vecchia data. Le nostre ricerche avevano confermato che il suo patrimonio fosse effettivamente abbastanza consistente da permettere la transazione che il cliente aveva chiesto. Il mio viaggio era necessario a sbrigare le ultime formalità e concludere il contratto.
Ero così immerso nello studio delle carte che non mi accorsi dell’arrivo di un uomo al mio fianco. “È lei J.H.?” chiese lui, facendomi trasalire. Feci un cenno affermativo col capo, mentre studiavo il mio interlocutore. Era ingobbito e mentre prendeva le mie valige e iniziava a trasportarle, mi accorsi che era affetto da una leggera zoppia “Mi segua, prego. Il padrone la sta aspettando”. Le sue parole risultavano quasi incomprensibili a causa del forte accento tipicamente diffusosi nella zona. Mosso a compassione, dissi all’uomo “Le posso portare io”. In tutta risposta, mi sorrise scuotendo il capo. Notai con una punta di disgusto che alcuni denti erano mancanti e altri stavano marcendo. Era sicuramente una vista che avrei preferito dimenticare il prima possibile. Essendomi avvicinato a lui, fui colpito da due cose: la prima era il forte olezzo che il suo corpo emanava, la seconda era che pur avendo attorno ai sessant’anni, ne dimostrava almeno venti in più. La carrozza a cui l’uomo si avvicinò aveva uno stile piuttosto antiquato. Lo osservai mentre caricava senza sforzo le valigie nel vano bagagli. Mi aprì la porta e attese che salissi, prima di richiuderla e posizionarsi al posto di guida. La carrozza si mise in moto dopo qualche secondo. La strada dissestata rese il viaggio non esattamente confortevole, ma mi permise anche di concentrarmi su ciò che ci circondava. Gli alberi iniziarono a lasciare il posto ad una serie di piccole fattorie circondate da campi. I contadini erano ricurvi, impegnati a lavorare. Alcuni di loro interruppero la loro attività per guardar passare la carrozza. Erano troppo lontani perché potessi vedere cosa facessero, ma notai che qualcuno gesticolava brevemente, prima di rimettersi al lavoro. Fui tentato di chiedere qualche informazione sul tipo di coltivazione della zona al nocchiere, ma desistetti. Le fattorie furono presto soppiantate dal paesaggio tipicamente urbano. Tutte le case erano molto simili tra loro: basse, squadrate e con tetti spioventi. La cosa che mi colpì era l’assenza di colori: tutti gli edifici erano grigi con una porta in legno. La carrozza fu costretta a fermarsi per un rallentamento davanti a noi. Mi accorsi che su ogni porta era affisso un crocefisso di dimensioni variabili. Scossi la testa allibito dalla credulità di questa gente per storie e leggende. Ci lasciammo alle spalle la città e iniziammo a percorrere una strada di montagna piuttosto scoscesa. Il ritmo era piuttosto lento e la stanchezza del viaggio iniziava a farsi sentire “Manca ancora molto?” chiesi, sopprimendo uno sbadiglio “Stiamo viaggiando da almeno un’ora”. L’uomo alla guida scrollò le spalle “Ancora un po’ di pazienza” si limitò a dire, senza voltarsi. Non avendo molto altro da fare, iniziai ad osservare nuovamente il paesaggio attorno a me. Gli alberi che costeggiavano la strada, al contrario di quelli al porto, avevano un’aria salutare e antica. Sovrappensiero, iniziai a giocare col ciondolo contente una piccola foto di M.
Il nocchiere interruppe il silenzio “Presto potrà intravedere la dimora del mio signore sulla sua sinistra”. Incuriosito, iniziai a scrutare l’orizzonte di fronte a me e, dopo qualche, istante riuscì ad intravedere la sagoma di un castello. La luce del sole calante mi impediva di mettere a fuoco maggiori dettagli, ma anche da questa distanza sembrava enorme.
Il sole era calato da qualche minuto e in cielo si iniziavano ad intravedere le prime stelle, quando il verso di una qualche bestia mi fece trasalire dal torpore in cui ero caduto. Mi guardai attorno con aria confusa “Pensavo fossimo quasi arrivati” dissi con aria assonnata. Il nocchiere semplicemente scosse la testa “Non posso andare molto veloce su questa strada. Ma non si preoccupi, a breve arriveremo a destinazione”. Le sue parole furono enfatizzate nuovamente da quei versi bestiali “Cos’è questo rumore infernale?” chiesi “Sono lupi, signore. Qui tendono a vagare col favore delle tenebre, ma non c’è da aver paura. Non attaccano le carrozze”.
Dopo un quarto d’ora circa, arrivammo all’ingresso del castello. La saracinesca, sollevata, pareva la bocca spalancata di un mostro pronto ad inghiottirci. Appena attraversata, iniziò ad abbassarsi da sola. La carrozza si fermò in un piazzale molto ampio. Scesi e mi sgranchii le gambe, guardandomi attorno. Il castello si trovava in una posizione sopraelevata, su una rupe che dominava l’intera valle che avevamo attraversato durante il viaggio. Alla mia sinistra vi era un labirinto di siepi, mentre a destra si intravedevano degli edifici apparentemente in disuso. Di fronte a me, la fortezza si stagliava imponente e quasi minacciosa. L’autista aveva già recuperato i miei bagagli e mi fece cenno di seguirlo “Il padrone la sta aspettando.”.
Il marmo che incorniciava il portone di legno era stato finemente intagliato. Le figure erano pressoché indistinguibili a causa della scarsa illuminazione, ma le forme erano a tratti sinuose e a tratti parevano diventare mostruose. Il battiporta sporgeva dalla bocca di una creatura dai tratti bestiali che non riuscii a riconoscere. Prima che potessi usarlo, la porta si aprì da sola. La sala d’ingresso era illuminata dalla luce incerta di alcune candele. Il posto sembrava essere stato a lungo trascurato. Di fronte a me c’erano delle scale, a sinistra e a destra delle porte socchiuse da cui non proveniva alcuna luce. Il nocchiere mi sorpassò “Mi segua, le faccio vedere dove si trova la sua stanza, così potrà sistemarsi per la cena col Padrone”. Non fossi stato così stanco, avrei potuto anche lamentarmi del freddo benvenuto ma in quel momento la possibilità di rinfrescarmi e rilassarmi per qualche istante era una prospettiva troppo attrattiva per perder tempo in inutili polemiche.
Dopo la prima rampa di scale, giungemmo ad un pianerottolo che si apriva su un lungo corridoio. Anche qui non c’era illuminazione. Il servo mi fece cenno di continuare “Dobbiamo fare ancora qualche rampa di scale, mi segua”. Il secondo piano pareva una fotocopia del primo, ma si intravedeva della luce provenire da una delle camere “Ci sono altri ospiti a parte me?” chiesi “Solo il personale e qualche compagno del Conte, la maggior parte delle stanze sono vuote…” rispose lui. Arrivati al terzo piano, mi fermai un attimo per riposarmi e il servo scosse la testa “Meglio non sostare qui, siamo quasi arrivati”. Perplesso, ripresi la scalata. Finalmente, il nocchiere si inoltrò nel corridoio del quarto piano. Assicurandosi che lo seguissi, prese la prima svolta a sinistra e proseguì fino ad una nuova biforcazione, girò di nuovo a sinistra e giungemmo ad un’altra biforcazione. Questa volta, svoltò a destra. Dopo altre tre o quattro svolte, mi resi conto di aver perso l’orientamento “Che strano castello!” esclamai “Non sembrava così vasto questo corridoio, quando abbiamo iniziato a camminarci.” Il nocchiere si voltò e mi sorrise “Ah, questo castello è veramente enorme. A volte sembra quasi essere vivo”. Prima che potessi porgli qualunque domanda, l’uomo riprese a camminare fino a quando non si fermò davanti ad una porta ed estrasse una chiave “Ecco la sua camera”.
La stanza aveva uno specchio, un lavatoio e un letto a baldacchino circondato da pesanti tende in velluto nero. La finestra dava su uno strapiombo. L’aria nella stanza era pesante e sapeva di vecchio. Mi affacciai alla finestra e respirai a pieni polmoni l’aria straordinariamente fredda. Guardai sotto e vidi che c’era una finestra illuminata. Ritornai al lavatoio e mi iniziai a sciacquare. Qualche minuto dopo, sentii bussare alla porta. “Il padrone la sta aspettando!” disse una voce femminile, dal suono infantile. Mi rivestii rapidamente e aprii la porta. Ad aspettarmi c’era una donna sulla trentina, di bell’aspetto. I lunghi capelli biondi le incorniciavano il volto pallido “Se mi vuole seguire…” cinguettò. Mi chiusi la porta alle spalle e iniziai a camminarle a fianco, guardandomi intorno. Salendo non avevo fatto caso ai quadri sulle pareti o alle statue che si trovavano angoli del corridoio. Ancora una volta, le svolte mi fecero perdere il senso dell’orientamento. Tornati al piano terra, fui scortato nella sala alla nostra sinistra. Quando entrai, vidi un uomo dai lunghi capelli bianchi che sembrava scrutare intensamente il camino. Si voltò verso di me e rimasi colpito: mi aspettavo una persona anziana e fragile, e invece avevo di fronte un uomo apparentemente di mezza età e in gran forma “Benvenuto, signor H.! è un piacere averla qui. Si accomodi pure! Spero le piaccia la carne di manzo” Mi sedetti “La ringrazio per il benvenuto, conte… Sono onorato della sua ospitalità. Certo, adoro la carne. Da dove arrivo io è ormai una rarità”. L’uomo si sedette di fronte a me e si versò del vino rosso nel calice “Ne vuole?” chiese, con un sorriso amichevole. Scossi il capo “Non bevo alcolici”. Mentre aspettavamo le pietanze, iniziammo a discutere dei nostri affari. La discussione si prolungò ben oltre al pasto. Mi sfuggii uno sbadiglio mentre il Conte mi spiegava per l’ennesima volta la ragione per cui cercava di espandere le proprietà controllate. La mia stanchezza doveva essere evidente, perché il Conte si alzò in piedi e mettendomi una mano sulla spalla disse “Potremo continuare la discussione domani sera. Purtroppo, nei prossimi giorni avrò molto da fare in un’altra proprietà qui vicino.” Si fermò per un attimo, poi aggiunse “La accompagnerò in camera sua, signor H.”. Lo ringraziai e lo seguii.
La strada di ritorno verso la mia stanza mi sembrò essere più breve di quella fatta all’andata. Anche alcune statue che avevo cercato di memorizzare pareva fossero scomparse o state spostate. Arrivato di fronte alla porta della stanza, mi accorsi che il piccolo ciondolo con la foto di M. non era più nella mia tasca. Frugai per qualche secondo nelle mie tasche, senza risultati. Il Conte mi guardò con un’espressione di educato interesse sul volto “Ha perso qualcosa?” chiese. Io scossi il capo “Un piccolo ciondolo. Ero sicuro di averlo in tasca, ma devo averlo lasciato in camera o perduto mentre tornavamo in sala da pranzo”. L’uomo si guardò intorno e si chinò “È per caso questo?”. Tirai un sospiro di sollievo “Che sbadato, mentre lo cercavo in preda all’agitazione mi dovrà essere caduto” dissi, anche se ero abbastanza sicuro di non averlo avuto in tasca. Il Conte mi porse il pendaglio, ma proprio mentre stavo per prenderlo il meccanismo scattò, facendolo aprire. L’uomo guardò la foto per un istante prima di passarmelo “La sua signora?”. Scossi il capo “La mia fidanzata. Ci sposeremo tra qualche mese…”. Il conte sospirò soddisfatto e disse “Che bella notizia! Ora però è ora che si riposi!”. Ci salutammo e chiusi la porta alle mie spalle. Prima che fosse completamente sbarrata, vidi il piede del Conte bloccarla “Un ultimo consiglio: le sconsiglio di andare in giro di notte per il castello. Alcune stanze sono ancora in fase di ristrutturazione e non vorrei le capitasse qualcosa…

24 ottobre

Sono state giornate strane, quest’ultime. La prima notte ero riuscito a dormire come un bambino, ma dalla seconda notte in poi potevo sentire l’ululato dei lupi fuori dalla mia finestra. Quelle maledette bestie rendono il mio sonno frammentato e difficoltoso.
A parte per la cameriera che mi faceva da scorta in giro per il palazzo non mi sembrava ci fosse nessun altro. Gli inquilini erano ancora più strani e misteriosi del castello. La Cameriera rispondeva abbastanza cortesemente alle domande, ma non sembrava interessata ad intrattenere una conversazione.
Sfruttai il molto tempo libero per girovagare tra le stanze a cui era possibile accedere, non molte per la verità, e ad ammirare l’architettura dell’edificio. Le porte, finemente cesellate, mostravano scene di guerra e d’amore. Nel marmo era scolpita una grande battaglia tra le schiere degli angeli e le schiere dei demoni. Imponenti gargoyles erano stati messi in cima al tetto e sui balconi delle ali del castello.
Anche i quadri all’interno della casa seguivano il leitmotiv presente sulla porta. Oltre ai ritratti di famiglia, infatti, si potevano trovare immagini di donne nude impegnate a danzare in notti di plenilunio e di santi che scacciavano il maligno. Curiosamente, però, non vi era alcuna croce all’interno dell’edificio.
La sera del ventiquattro novembre, la cameriera mi scortò in sala da pranzo dove ad attendermi c’era il conte. I suoi capelli erano finemente raccolti in una coda e sembrava ringiovanito di una decina d’anni. Lo guardai stupito per un secondo, prima di sedermi al tavolo. Anche quella sera parlammo di affari a lungo. Il Conte disse che stava controllando che tutto fosse in ordine prima di firmare e che in tre o quattro giorni sarei stato pronto per ripartire e tornare a casa. La discussione si spostò dalla sfera economica a quella personale dopo pasto. Il Conte mi chiese informazioni su M. e su come l’avessi conosciuta. Quando gli risposi, non potei fare a meno di chiedere “E lei, Conte? È sposato?”. Il sorriso sul volto dell’uomo sembrò congelarsi per un secondo prima di scrollare le spalle “Sono stato sposato, ma purtroppo la mia giovane moglie morì durante uno dei miei viaggi. Nessuno poté fare nulla” Sospirò profondamente “Da allora, non ho mai amato nessuna come lei”. Mortificato, chiesi scusa. Mentre la cameriera sparecchiava, mi accorsi che il Conte aveva solo bevuto vino ma non aveva toccato cibo “Conte, ma non ha mangiato nulla?” L’uomo alzò le spalle “Non avevo molto appetito, ma il cuoco è abituato a queste mie bizze”.
Continuammo a discutere, quando all’improvviso sentì nuovamente i lupi ululare e non riuscii a resistere ad un brivido gelido che mi corse lungo la schiena. Il Conte inclinò la testa e sorridendo sussurrò “I figli della notte, che dolce musica emettono”. Sorrisi vagamente a disagio a quelle parole. Ancora una volta, finita la discussione, l’uomo si offrì di accompagnarmi nella mia stanza e, nuovamente, si raccomandò di non lasciare la mia stanza per girovagare nel cuore della notte.
Cercando di ignorare l’ululato dei lupi, chiusi gli occhi e… Probabilmente riuscii ad addormentarmi, perché ebbi un sogno terribilmente vivido. Sentivo qualcuno bussare alla mia finestra e quando aprii gli occhi, vidi che dall’altra parte del vetro vi era una giovane donna. I capelli neri erano molto lunghi e le arrivavano ben oltre la vita. Indossava un vestito candido come la sua carnagione. Gli occhi erano glaciali e le sue labbra voluttuose erano semi-aperte in un sorriso. Quando la feci entrare, mi gettò sul letto e iniziò a baciare lentamente il mio collo prima di iniziare a spogliarmi. Si chinò nuovamente e le sue labbra si abbassarono lungo il mio petto, prima di risalire. L’ultimo bacio al collo divenne ben presto un morso. Prima che potessi allontanarla, si spalancò la porta della mia camera e il Conte entrò di gran carriera e soffiò contro la donna, mostrando dei canini straordinariamente appuntiti. La donna arretrò lentamente e uscì dalla finestra. Il Conte la seguì e io mi affacciai, vedendo le due figure strisciare sul muro come lucertole.
L’indomani mi svegliai e controllai il mio collo. Non c’era alcun segno di morso e i miei vestiti erano intatti. L’unica spiegazione razionale è che si tratti di un sogno.

31 ottobre

Credo… Credo di star impazzendo. Negli ultimi giorni sono successe così tante cose strane e mi sento così… Così stanco e debole… Ma devo raccontare tutto quanto.
Il giorno dopo quello strano sogno, decisi di non aspettare la mia consueta scorta e di girovagare da solo per il castello. Iniziai a girare per il piano in cui si trovava la mia stanza e cercai di fotografare alcuni riferimenti nella mia memoria. Mi accorsi che ogni ala del piano aveva dei quadri tematici. Iniziai a seguire un percorso in cui le scene dominati erano quelle di battaglie. Arrivai a delle scale che non avevo mai visto prima d’ora e iniziai a scenderle. I quadri si interruppero improvvisamente di fianco ad una porta. Provai ad aprirla, ma non riuscii a smuoverla. Decisi di tornare indietro e continuai a seguii la strada a ritroso, prima di scegliere un altro percorso da seguire. Questa volta, i quadri mi portarono ad una scala che saliva al piano superiore. Incuriosito, mossi i primi passi sui gradini quando improvvisamente vidi emergere dalle ombre la donna del mio sogno. Lei mi fece cenno di seguirla e ancora prima che me ne rendessi conto, i miei piedi si stavano muovendo autonomamente. Continuai camminare finché non trovai la porta di una stanza aperta. Vi entrai e la porta si chiuse da sola. Le pesanti tende erano tirate e non filtrava un raggio di sole. Nella stanza era presente una sola candela che la illuminava fiocamente l’intera stanza. La donna era stesa sul letto, nuda e mi soppesava con lo sguardo “Non avere paura” disse facendo cenno di raggiungerla sul letto “Non mordo”. Ancora una volta, come se fossi in trance, mi trovai ad obbedire al suo comando. “Il Conte ti vuole tutto per sé… Ma mi sento così sola, qui. Non ci sono più visitatori da moltooo tempo”. Cercai di dire qualcosa, ma la mia lingua sembrava incapace di articolare parole. Con un sospiro, la donna mi disse “Ora che conosci la strada, sai dove trovarmi. Ho bisogno di riposare… Torna stanotte e non dire nulla al Conte”. Mi trovai nuovamente a scendere le scale senza nemmeno essermi accorto di aver abbandonato la stanza. Quella sera, non vidi il Conte. Decisi di farmi portare la cena in camera, mentre pensavo febbrilmente a quello che era successo la sera prima e quella mattina. Possibile che fosse tutto reale? Come spiegare l’assenza del segno del morso sul collo e il fatto che i miei vestiti fossero intatti? Domande che continuavo a ripetermi ossessivamente senza riuscire a trovare una risposta convincente.
Lasciai il vassoio con i piatti fuori dalla porta e dopo aver cercato di concludere gli ultimi dettagli necessari alla firma del contratto, mi sdraiai sul letto ancora vestito e precipitai in un sonno profondo. Fui svegliato nuovamente dal grattare del vetro contro la finestra e dall’ululato dei lupi. La donna coi capelli neri era fuori dalla finestra e aspettava che la aprissi. Cercai di ignorarla, rigirandomi su un fianco e richiudendo gli occhi. Doveva trattarsi necessariamente di un sogno, mi dissi. Il rumore continuò insistentemente per qualche minuto prima di svanire. Quando mi voltai di nuovo verso la finestra, non c’era alcuna traccia della donna. Sospirai e chiusi gli occhi. Delle dita fredde accarezzarono la mia guancia. Quando aprii gli occhi, vidi la donna dai capelli neri sopra di me. Con l’unghia dell’indice graffio la mia guancia, facendomi sanguinare lievemente. La sua lingua guizzò rapidamente sulla ferita e mi regalò un sorriso sardonico “Mi hai fatta entrare, non penserai davvero di potermi tenere fuori ora”. Mi resi conto di non potermi muovere. La donna si spogliò e mi strappo via i vestiti. Quando si mise sopra di me, il suo sguardo magnetico divenne l’unica cosa su cui riuscivo a focalizzare la mia attenzione. Al culmine del piacere, la guardai abbassarsi lentamente e sentii i suoi denti affondarmi nel collo. Questa volta, nessuno intervenne per fermarla.
La mattina dopo, mi svegliai con la testa pesante. La luce feriva i miei occhi e mi sentivo debole e indolenzito. Quando mi alzai, andai davanti allo specchio e vidi che all’altezza del punto in cui mi aveva morso, c’erano due lividi scuri e che la mia carnagione era più pallida del solito. Decisi rivestirmi e rimettermi a dormire. Fui svegliato dalla voce del Conte nella mia stanza. Stava parlando con la cameriera nella lingua locale. Quando si accorse che ero sveglio, mi guardò rattristato “Sono mortificato, signor H. Non sarebbe dovuto succedere nulla del genere… Avrei dovuto impedirlo, ma ormai è tardi. Le farà piacere sapere che ho inviato io il contratto alla sua compagnia”. Lo guardai con aria confusa “Come? Cosa sta succedendo?” Il Conte sorrise tristemente “Con il contratto, ho inviato una lettera scritta da lei in cui chiede di passare più tempo qui con noi per approfondire alcuni potenziali altri potenziali affari con me. Mi sono permesso di scrivere anche alla bella M., dicendole che le manca molto ed è un pensiero costante.” Si fermò e scosse la testa “Mi spiace che debba finire così…”, allarmato cercai di mettermi a sedere ma il Conte mi bloccò con una mano, inchiodandomi al letto “Temo che la sua notte di passione le costerà molto caro. Sarà un mio ospite… Per l’eternità”. Confuso, cercai di dire qualcosa, ma sentivo la forza abbandonare le mie membra. Quando aprii gli occhi nuovamente, ero in camera da solo. Andai alla porta e la aprii.
Non riuscivo a capire se quello a cui avevo assistito in camera mia fosse l’ennesimo incubo o fosse la realtà. Le mie certezze sulle dicerie popolari della zona si stavano lentamente sgretolando mentre mi recavo nel labirinto di siepi a cercare dei rami. Quando finii la mia ricerca, ero stanco e dolorante. Tornato in camera, legai i bastoni ricavati dai rami formando una croce che appesi al mio collo. Calata la sera, scoprii di non essere per niente affamato e iniziai a girare per il castello. Mi resi conto che la mia vista si era acuita al buio e mi permetteva di vedere più chiaramente di quanto fosse mai accaduto in passato. Decisi di scendere al piano terra, seguendo una serie di ritratti del Conte. Arrivato di fronte all’ultimo quadro, mi ritrovai nella sala d’ingresso. Provai ad aprire la porta, ma la trovai sbarrata. Potevo udire gli ululati dei lupi provenienti da fuori e desistetti, tornando sui miei passi. Di fronte al quadro principale c’era un enorme tappeto rosso che correva lungo l’ingresso e saliva lungo le scale. Mi misi di fronte al quadro e sentii delle assi scricchiolare. Incuriosito, sollevai il tappeto e vidi una botola. Provai a sollevarla, senza successo. Ritentai un’altra volta, stavolta spingendola verso il basso ma non ebbi maggiore fortuna. Decisi di appostarmi in un punto poco in vista e di aspettare che qualcuno le usasse. Doveva essere quasi l’alba quando vidi il Conte avvicinarsi al tappeto. Dopo averlo spostato, premette una delle assi di legno vicino alla botola e questa si aprì. Aspettai circa dieci minuti prima di decidere di seguirlo. Mi guardai intorno prima di fare quello che aveva fatto il Conte prima di me. Il passaggio si spalancò automaticamente. Potevo intravedere gradini rozzamente tagliati che si inoltravano nelle viscere del castello. Iniziai a scendere lentamente, mentre i miei occhi si abituavano alla totale oscurità. L’aria era stantia e aveva un sapore ammorbante. L’odori mefitici che si sollevavano dal sotterraneo, iniziarono a farmi lacrimare gli occhi. Gli scalini finirono improvvisamente e rischiai di cadere per terra. Sotto i miei piedi potevo sentire la terra battuta. Il puzzo era tremendo e l’aria era opprimente. Iniziai a vagare nell’oscurità finché non incrociai un enorme sarcofago. Iniziai a studiarlo e mentre vi passavo sopra una mano, mi ferii. Guardai con sguardo terrorizzato mentre le gocce di sangue venivano lentamente assorbite all’interno del feretro. Iniziai ad arretrare lentamente fino a che le mie spalle non sbatterono contro qualcosa. Lentamente mi girai e trovai faccia a faccia con un’altra bara. Lentamente, il coperchio iniziò ad aprirsi e delle mani artigliate emersero. Non aspettai di vedere altro, mi voltai e scappai via dal seminterrato. Non smisi di correre finché non riuscì ad arrivare nel porto sicuro rappresentato dalla mia camera. Dopo aver chiuso la porta a chiave, mi ci appoggiai e mi addormentai.
Fui svegliato dall’ormai abituale grattare al vetro. Quando aprii gli occhi, però, non vidi la donna coi capelli neri ma una ragazza dai capelli biondi. Aveva un non so ché di familiare ma non riuscivo a capire chi potesse essere. Solo quando mi avvicinai abbastanza alla finestra, riuscii a riconoscerla: era la cameriera. Fu in quel momento che decisi di mettere alla prova la croce che mi ero prodotto. La appoggiai al vetro per vedere che affetto avrebbe avuto su quella creatura. La cameriera la guardò e scoppiò a ridere. Contemporaneamente, la porta dietro di me si spalancò ed entrò il Conte. Mi voltai e brandii la croce come un’arma. Il Conte fece un gesto sprezzante, prese la croce dalle mie mani e la spezzò. Rimasi impietrito “Ma… Ma…”. L’uomo di fronte a me sorrise, mostrando i canini appuntiti “La croce è solo un simbolo. Nel momento in cui non si crede nel significato di quel simbolo, qualunque proprietà intrinseca in esso svanisce”. Si avvicinò a me e mi sollevò con una mano, come se fossi un fuscello “Ho apprezzato molto lo spuntino che mi ha offerto questa mattina, signor H. Ma per la sua incolumità le consiglio di non avventurarsi più nelle mie stanze.” Mi rimise a terra e sorridendo disse “Comunque le farà piacere sapere che sto ultimando i preparativi per la partenza. Partirò tra qualche giorno. Sono curioso di vedere questo nuovo mondo e le opportunità che mi attendono”. Mentre parlava, spalancò la finestra alle mie spalle facendo entrare la fredda aria notturna e l’ululato dei lupi.
Poi uscì dalla finestra e iniziò a strisciare verso i piani inferiori come una disgustosa serpe. La cameriera si avvicinò a me e si fermò sull’uscio della finestra “Mi faccia entrare, signor H.” poi avvicinandosi ancora un po’ mi sussurrò “Non se ne pentirà”. Ci volle tutta la mia forza di volontà per chiudere le finestre e lasciare quella donna fuori. Mi resi conto che le notti non mi avrebbero dato più alcun riposo e che ero al sicuro soltanto durante il giorno. Fu una lunga notte in cui temetti che da un momento all’altro il Conte o la donna dai capelli neri entrassero in camera mia. Non ci fu vista più bella del sorgere del sole.
I due giorni successivi furono un alternarsi di sonno e veglia entrambi conditi da un terrore atavico che qualcuno potesse entrare di soppiatto mentre dormivo. Arrivai esausto all’alba del 30 ottobre. Non mangiavo da più di quarantotto ore e l’idea del cibo mi nauseava. Cercai di farmi forza con il pendaglio contenente la foto di M., ma mi accorsi di non averlo più. Iniziai a rovistare in giro per la camera, senza riuscire a trovarlo. Un forte senso di perdita e abbattimento mi investirono. Mi addormentai rannicchiato in un angolo della stanza. Quando mi svegliai, il sole era appena tramontato e un senso di apatia era calato su di me. La porta si spalancò ed entrò la donna dai capelli neri. Quando mi prese per mano e mi guidò fuori dalla stanza non cercai nemmeno di opporre resistenza. Ero indifferente a qualunque fosse la mia sorte. Seguendo il percorso artistico che raffigurava le streghe, fui portato in una nuova stanza. Sul letto, svestite, mi aspettavano una donna coi capelli color rame e la cameriera. La donna dai capelli corvini mi gettò sul letto e appena toccai il materasso, le altre due si avvinghiarono rapidamente e con forza a me. I loro baci divennero ben presto morsi. La mia mente si spense, mentre loro sfogavano i loro istinti animaleschi e si nutrivano del mio sangue. La cameriera mi sussurrò all’orecchio “È un grande onore poter passare la notte con le mogli del Conte” ma la mia indifferenza era così assoluta che non replicai nemmeno.
Quando il sole sorse, delle tre donne non c’era più traccia. Io mi sentivo debole e svuotato. La luce diurna stava diventando insopportabile per i miei occhi. Rotolai giù dal letto e cercai riparo tra all’ombra. Fu lì che al calare della sera, il Conte mi trovò. Mi guardò con sguardo carico di pietà e scosse la testa “Così non va. Non si meritava tutto questo, caro signor H…. Ma potrei avere la soluzione”. Poi si diresse verso la finestra e la spalancò. L’ululato dei lupi non era più un rumore infernale, ma una dolce canzone che si diffondeva nell’aria. Il Conte si avvicinò e con un’unghia si aprì una venuzza sul polso, avvicinandola alle mie labbra. La vista e l’odore del sangue fecero scattare qualcosa dentro di me. Mi attaccai voracemente alla venuzza e iniziai a berne il contenuto. Quando mi staccai, mi sentivo rinvigorito e rinforzato. Il Conte mi guardò con soddisfazione e mi fece cenno di seguirlo fuori dalla finestra. Senza dubitare per un secondo, obbedii alla sua richiesta. Strisciammo sui muri come rettili e poi ci mettemmo a correre nella foresta, accompagnati da enormi lupi che correvano di fianco a noi.
Giunti in paese, il Conte mi guidò fino ad una casa. Ci librammo in aria, avvicinandoci alla finestra. Dal vetro vedemmo due ragazze che dormivano serenamente nei loro letti. Il Conte batté sul vetro un paio di volte e una delle due giovani si svegliò e come in trance, aprì la finestra e ci fece entrare. L’uomo iniziò a spogliare la ragazza mentre la baciava. Guardai con fascinazione il Conte iniziare a mordere la giovane che in preda all’estasi si lasciò sfuggire un gemito di piacere abbastanza forte da svegliare l’altra ragazza. Ancora intontita dal sonno, impiegò qualche secondo a capire cosa stesse succedendo. Quei momenti di esitazione le furono fatali. Prima che potesse gridare, i miei canini erano conficcati nella sua giugulare. Il sapore del suo sangue era un dolce nettare. Potevo sentire i battiti del cuore della mia vittima rallentare sempre di più fino a quasi fermarsi. Mi fermai e mi voltai. L’altra ragazza era distesa al suolo e del Conte non vi era traccia. Quando me ne andai, entrambe le ragazze respiravano debolmente. Mi guardai intorno, cercando il Conte ma non lo trovai. Decisi di tornare al castello.
Al mio rientro fui accompagnato fino al cancello da un branco di lupi. Una volta trovata una finestra aperta, vi entrai. Andai al piano terra e poi nel sotterraneo. Le tombe più ornate erano sparite quasi tutte. Mi accorsi che c’era un nuovo feretro pronto, con sopra scritto il mio nome. Sazio dopo la caccia e soddisfatto, vi entrai e chiusi gli occhi per riposarmi. Fu prima che il sonno mi cogliesse che mi resi conto che quel contratto firmato e accettato non era altro che un invito per il Conte ad abbandonare la sua prigione per conquistare nuovi mondi.
È con questa terribile consapevolezza che mi sono risvegliato e sto registrando questo messaggio sperando che raggiunga qualcuno. Non so quanto possa resistere prima di cedere definitivamente ai miei impulsi più bassi e primordiali. Fate tutti attenzione: il Conte è libero, sta arrivando e non c’è niente o nessuno che possa fermarlo… Ma… Li sentite? I figli della notte, che dolce musica emettono…

Così si interrompono le video-registrazioni di J. H.

Non è possibile stabilire effettivamente la data in cui si siano tenute le registrazioni perché il file era irrimediabilmente danneggiato. Alcune entrate sono state permanentemente cancellate. Cosa sia effettivamente successo, rimane tuttora da chiarire. La spiegazione più probabile è che queste farneticanti registrazioni non siano altro che le conseguenze dei un crollo psicologico legato alla notizia della sparizione della sua futura moglie M. M., misteriosamente sparita dalla città di Londra sul pianeta Cassiopea nella costellazione omonima in data 5 novembre 2630. Non ci sono prove che corroborino la storia di H., al di là della presenza di una lettera firmata di suo pugno e il contratto firmato dal Conte V. T., e controfirmata da J.H.

Nel frattempo, dalla nave spaziale Demetri non giungono più aggiornamenti da qualche giorno. La nave ha deviato dal suo corso cinque giorni fa e si sta dirigendo verso il pianeta GX463, popolato da una delle principali colonie umane in quella galassia. Le ultime registrazioni da parte della ciurma parlavano di strani incidenti a bordo e di persone scomparse. È stato dato ordine di accompagnare la nave in porto e lasciarla in quarantena per tre settimane prima di procedere con lo sbarco dei passeggeri.

Lascia un commento

Archiviato in Narrativa e poesia

Scrittobre – Giorno 1

Bosco Profondo

Uno stormo di uccelli volava verso ovest, mentre il sole tramontava. Il cielo era arancione e blu scuro, il giorno stava cedendo lentamente il passo alla notte. Le chiome degli alberi, dipinte dei colori autunnali, iniziavano ad incupirsi. Gli ultimi aliti di vento accompagnavano tra gli alberi il suono delle voci dei bambini che si stavano scambiando gli ultimi saluti, dopo esser stati richiamati dai loro genitori. Uno di loro, però, si era attardato più degli altri ed era rimasto solo. Il bimbo si guardava attorno con aria perplessa. Sul suo volto era dipinta un’espressione quasi comica. Non riusciva più a trovare il suo cappello e se ne avesse perso un altro, l’ennesimo, sua madre lo avrebbe sicuramente sgridato. Doveva trovarlo e in fretta. Si mise in ginocchio e iniziò a rovistare nel prato sempre meno illuminato. Era così concentrato nella sua ricerca che non si accorse nemmeno che la punta della lingua stava facendo capolino tra le sue labbra. Il bosco lì vicino gli aveva sempre messo un po’ d’ansia a causa delle storie che gli erano state raccontate sin da quando era piccolo. “Comportati bene o gli abitanti del bosco ti porteranno via da mamma e papà” gli dicevano quando faceva i capricci. Non che lui credesse a quelle storie, chiaramente… Ma era inevitabile quella sensazione di disagio che lo accompagnava ogni volta che era lì da solo. Dagli alberi alla sua sinistra, distanti una decina di metri da lui, sentì provenire uno scricchiolio. Il bambino alzò di scatto la testa e guardò nella direzione da cui proveniva il suono. Non vide nulla. La sua ricerca riprese, più affannosa e rapida. Se non avesse trovato il cappello in breve tempo, se ne sarebbe andato a casa. Meglio essere sgridati dalla mamma che… Di nuovo quel rumore, stavolta alla sua destra. Il bimbo alzò di nuovo la testa. Ancora una volta gli sembrò di non vedere nulla. Questa volta però, non ne era così sicuro. Si alzò in piedi e strinse gli occhi per penetrare l’oscurità tra gli alberi. C’era qualcosa lì…
Combattuto tra paura e curiosità, il bimbo si avvicinò lentamente al limite del bosco. Il cappello e la sua ricerca erano già stati dimenticati. La sua attenzione era focalizzata su quel mistero. Improvvisamente, dalle tenebre, emersero due occhi verdi e luminosi. Il bambino si lasciò sfuggire un sussurro di sorpresa e fece per voltarsi e scappare. “Non vorrai andare via senza il tuo cappello, vero?” Disse una voce musicale. Il bambino si voltò e scosse la testa lentamente “La mamma si arrabbierà moltissimo se ne perdi un altro, giusto?” Il bambino fece di sì con la testa, incapace di parlare. Una mano pallida emerse dall’ombra, stringendo il cappello del bambino “È proprio qui! Vieni a prenderlo”. Il bimbo iniziò ad avvicinarsi lentamente. Più si avvicinava, più la figura diventava visibile: aveva luminosi occhi verdi, la carnagione pallida, le orecchie a punta e sul viso era dipinto un sorriso benevolo. Raggiunta la mano che reggeva il cappello, il piccolo si allungo per prenderla. Il braccio si allontanò da lui “Avvicinati… Non avere paura!”. Il bambino si fermò un attimo, insicuro, prima di avvicinarsi ancora un po’. Sul volto della persona nel bosco si disegnò un ghigno e mentre il bambino si avvicinava, iniziò ad arretrare “Vieni a prendere il cappello!”. Il bambino iniziò ad accelerare il passo per quanto fosse possibile con le sue gambe ben più corte, ma la figura continuava ad arretrare, rimanendo però sempre ben in vista. Improvvisamente, il bambino si accorse che c’erano altre persone come quella che teneva in mano il cappello e tutti lo guardavano con dei sorrisi sul volto. Il piccolo provò a voltarsi per uscire, ma la strada gli era sbarrata da due di quelle strane persone “Non puoi tornare a casa senza il cappello! La mamma ti sgriderà!” esclamarono con tono cantilenante. Il bambino fu spinto sempre più nel profondo del bosco, cercando di raggiungere il suo cappello senza mai riuscirci. Ormai stanco e spaventato, stava per mettersi a piangere quando dietro alla figura che teneva in mano il suo cappello ne apparve un’altra, più alta e con espressione severa. Il suo sguardo si soffermò per un attimo sul bimbo per poi spostarsi sugli altri presenti. Disse qualcosa di incomprensibile per il bambino e tutto divenne improvvisamente nero.
Il rumore del canto di uccelli svegliò il bambino. Si alzò di scatto e si guardò intorno confuso: ricordava di essere entrato nel bosco per recuperare il suo cappello e di essere stato circondato da strane persone… Eppure, ora era in camera sua e il cappello era sulla sedia di fronte a lui coi suoi vestiti. Il bambino concluse semplicemente che era stato solo un brutto sogno e si concesse un sospiro di sollievo, prima di andare dai genitori a raccontare questo strano incubo. Se solo avesse avuto la pazienza di controllare i suoi vestiti con più attenzione, si sarebbe reso conto che il suo incontro con gli abitanti del bosco era stato molto reale: aghi di pino e foglie secche erano rimaste attaccate agli abiti e una piccola spilla d’argento era stata appuntata sul berretto.

Lascia un commento

Archiviato in Narrativa e poesia

Capitolo 1 – Jack Galloway

“La prima cosa che mi ricordo di quando l’ho incontrata? Il vento. Il vento e l’odore di fumo che mi riempiva le narici. Oppure i suoi capelli lunghi e neri come l’ebano. O, forse, i suoi occhi così profondi che sembrava ti scavassero dentro, nonostante apparissero così distanti… Così remoti. Non lo so. È buffo. Ora che mi ci fa pensare, non saprei darle una risposta precisa. C’è così tanto di lei che mi ha colpito quella volta che non saprei cosa scegliere.” Sorseggiò il vino dal bicchiere che teneva elegantemente in mano.

Jack Galloway, detective privato da sei anni, rimase in silenzio aspettando che continuasse. Quando si accorse che non l’avrebbe fatto, decise di fare un’altra domanda “Ma qual era esattamente la natura del vostro rapporto?” L’interlocutore si mosse a disagio sulla sedia, i loro sguardi si incrociarono “Amicizia? Amore? Anche questo non l’ho mai capito davvero. Ne abbiamo passate così tante insieme, io e lei. Eppure non abbiamo mai avuto un rapporto che fosse perfettamente definibile. Ci muovevamo su un terreno infido e scivoloso, dai confini non del tutto delineati. A volte eravamo amanti, a volte eravamo amici e altre volte… Altre volte non riuscivamo a sopportarci.” Quelle parole portarono un lieve sorriso sulle sue labbra. Bevve un altro sorso di vino. “Deve capire che le cose sono cambiate moltissimo, specialmente in questi due anni. E non parlo solo di me o di lei. Parlo di tutto questo.” Fece un gesto vago con la mano libera. Il detective stava per chiedere ulteriori chiarimenti “Ma non credo che questo sia rilevante in alcun modo per le sue indagini”. Il suo sguardo si perse fissando un punto alle spalle di Jack.

L’investigatore sapeva perfettamente cosa fosse successo prima: l’Europa si era recentemente lasciata alle spalle quarant’anni di regime totalitario: L’avanzata del Leader Massimo ed i suoi uomini, sostenuti per lungo tempo dalla Cina, non venne contrastata né dagli Stati Uniti, travolti da una crisi interna senza precedenti, né dall’Inghilterra che, una volta rimasta sola, non ebbe i mezzi necessari per opporvisi. Fu così che nacque la Federazione degli Stati d’Europa. La decadenza del regime ebbe inizio con la morte del Leader Massimo, trent’anni dopo la presa del potere. Le faide interne al partito si trasformarono ben presto in conflitti violenti tra fazioni avverse, permettendo alle forze di resistenza di liberare alcuni stati, iniziando un processo di democratizzazione che si era concluso soltanto due anni prima con la caduta degli ultimi gerarchi rimasti al potere. Nei territori sotto il controllo del Regime, una caccia ossessiva nei confronti del diverso aveva avuto luogo: chiunque non fosse un europeo occidentale, fosse affetto da gravi disabilità fisiche e mentali o fosse omosessuale rischiava di essere sequestrato e portato in uno dei tanti Centri di Rieducazione da cui nessuno era mai uscito.

Jack osservò meglio la persona che aveva davanti: circa venticinque anni, lunghi capelli castani mossi che le cadevano sulle spalle. Aveva indosso un vestito semplice, che lasciava appena intravedere le forme di un generoso seno. Era indubbiamente una bella ragazza ed era anche l’ultima persona informata sui movimenti della persona che stava cercando. Si schiarì la gola “Mi spiace sembrare insistente ma dovrei farle altre domande, Miss Stone. Le ricordo che quando lo desidera, è libera di andarsene. Proseguiamo?” La donna lo guardò per qualche istante, prima di fare un cenno affermativo col capo “Lei sapeva nulla delle attività politiche svolte dalla signorina Gallimard? Questa sue attività avrebbero potuto attirare le antipatie di qualcuno? Riesce ad immaginare una ragione per cui sarebbe dovuta sparire, lasciandosi alle spalle quasi tutti i suoi averi?” Miss Stone sospirò appena, scuotendo il capo “L’ho già detto anche agli agenti con cui ho parlato prima di lei: facevamo parte di un gruppo attivo nella difesa dei diritti umani, ma a livello politico non avevamo ritenuto saggio schierarci per alcun partito. Quando reputammo che la situazione si fosse fatta troppo tesa, decidemmo di lasciare il gruppo, o per lo meno lo feci io…” Bevve l’ultimo sorso di vino e appoggiò il bicchiere vuoto su un tavolino “Per quanto riguarda le antipatie, non saprei. Aveva avuto avventure occasionali con qualche ragazza, ma non penso che si potesse dire che la odiassero” il detective la fermò con un gesto “Mi scusi, potrebbe chiarire cosa intende quando dice: o per lo meno lo feci io?” Miss Stone lo guardò a lungo con espressione pensosa e gli occhi leggermente socchiusi, cercando di mettere ordine tra i suoi pensieri o forse valutando quanto potesse arrischiarsi a dire. Quando giunse ad una conclusione, disse “Quando venni a sapere che lei faceva ancora parte del gruppo, mi infuriai. Fu una dura litigata, piuttosto rumorosa… Siamo state fortunate che nessuno abbia chiamato la polizia” Galloway prese nota sul taccuino “Le ha spiegato per quale motivo non abbia lasciato il gruppo come aveva detto di voler fare?” Miss Stone scosse la testa “Fu proprio quello il motivo per cui litigammo. Lei mi disse semplicemente “Tu non puoi capire”. Se ne rende conto? Non potevo capire io che avevo condiviso con lei gli ultimi sei anni della mia vita! Ci siamo sempre dette tutto, ma quello non ha mai voluto spiegarmelo. Quando ci chiarimmo, raggiungemmo il muto accordo di non parlare più di quella storia.” Galloway rifletté qualche istante su quelle parole e poi chiese “Dopo quella lite, che lei sappia, la signorina Gallimard ha più frequentato il gruppo?” La donna alzò le spalle “Non saprei dirle. Ha provato a star via delle ore senza farmi sapere nulla, a volte non rientrava per qualche giorno. Ogni volta che tornava e le chiedevo dove fosse stata, non mi rispondeva… Quasi non avessi parlato. Non ho mai voluto insistere per evitare altre litigate come quella di cui le parlavo prima.” Il detective prese nota sul foglio “Questo suo atteggiamento per quanto è andato avanti?” Sul volto di Miss Stone si dipinse un sorriso amaro e triste “Fino a quando non è sparita. Di solito non è mai stata per così tanto irraggiungibile. Ho provato a chiamare tutti i nostri amici, i colleghi… Ma nessuno sapeva nulla. Ho iniziato a preoccuparmi e ho chiamato la polizia…” Galloway lesse gli appunti sul taccuino: Emilie Gallimard era scomparsa da quasi tre settimane. Si era portata dietro circa quarantamila euro, una valigia con qualche vestito e poco altro.

Apparentemente era una ragazza normale: aveva avuto alcuni problemi con i simpatizzanti del regime a causa del suo attivismo nel campo dei diritti ma non c’erano stati particolari episodi che potessero far pensare ad un sequestro. Non aveva debiti, né conti in sospeso. I motivi che l’avevano spinta a scappare erano tuttora circondati dal mistero, così come la sua infanzia. Per quanto il detective si fosse sforzato di scoprire qualcosa sulla sua famiglia o i suoi primi anni di vita, non aveva trovato alcun documento che ne attestasse l’esistenza. Era comparsa all’improvviso otto anni fa e, altrettanto improvvisamente, sembrava essere svanita. Il fatto che dei documenti fossero andati perduti durante la caduta del regime non era di certo una rarità eppure in questo caso qualcosa non convinceva Galloway “Miss Stone, non le viene proprio in mente alcun motivo per cui Emilie Gallimard avrebbe voluto sparire?” La ragazza scosse il capo “Detective, se lo avessi saputo non l’avrei di certo contattata. Però…” Si fermò, con aria pensosa “Però?” la incalzò Galloway “Però era come se non si fosse mai del tutto ambientata qui. Si era adattata a questa città e al suo stile di vita, ma era come se non fosse mai del tutto entrata in questo mondo e non riuscisse ad integrarsi completamente con gli altri. A volte persino con me. Ogni tanto mi dava la sensazione di essere qui fisicamente, ma di essere altrove con la testa. In quei momenti aveva uno sguardo assorto, triste e nostalgico. Gli occhi verdi persi a guardare in lontananza… Ma quando le chiedevo a cosa pensasse, scrollava le spalle e rispondeva con un sorriso. Non l’ho mai scoperto. Penso di essere la persona che la conosca meglio eppure in queste ultime settimane ho la sensazione che non la conoscessi affatto…” Galloway guardò l’orologio e si accorse che era più tardi di quanto credesse “Un’ultima domanda e poi la lascio andare: le ha mai detto nulla della sua infanzia?” L’espressione di Elisa Stone si fece pensosa. Passarono svariati secondi prima che lei dicesse “No, non mi viene in mente nulla…” Il detective si alzò e si voltò verso l’uscita. Aveva era ad un paio di passi dalla porta, quando la voce della donna lo fermò “Aspetti! Ricordo vagamente che mi disse qualcosa sulle coste italiane e su come le sarebbe piaciuto tornare a vedere il mare come quando era più piccola” Il detective si voltò “Le ha per caso detto accennato qualcosa di più preciso?” Miss Stone scosse il capo “La ringrazio per la sua disponibilità, spero che le informazioni che ci ha fornito si rivelino utili. Le farò sapere qualcosa appena ci saranno novità”.

L’uomo uscì dal locale e salì in macchina. L’incontro con la convivente di Emilie Gallimard non aveva avuto l’esito sperato. Non aveva in mano alcun elemento concreto. Aveva interrogato tutte le persone che avevano avuto qualche rapporto con lei: la padrona del suo vecchio appartamento, cinque o sei persone del gruppo che frequentava, alcuni colleghi di lavoro e alla fine lei. Il risultato dei colloqui era stato il ritratto di una persona riservata, sempre puntuale coi pagamenti, ottima lavoratrice e in rapporti cordiali con tutti quelli che la conoscevano. Amava il silenzio e le lunghe passeggiate. La collezione di dischi indicava una passione per la musica. Nulla giustificava una sua scomparsa così improvvisa e nessuno sapeva fornirgli una spiegazione convincente. Era semplicemente sparita.

Il caso gli era capitato per caso tra le mani dopo che la polizia, dopo una settimana e mezza dalla denuncia della sua scomparsa, aveva derubricato il tutto ad una fuga. Non avevano né il personale, né il tempo di stare dietro ad un caso del genere simile a molti altri che si susseguivano da anni.

Trovare persone era il lavoro di Jack Galloway da ormai sei anni e, al contrario della polizia, lui non si era ancora dato per vinto. Prese il cellulare e compose il numero del suo ufficio.

Lascia un commento

Archiviato in Narrativa e poesia

Avviso ai naviganti

Interrompo il mio lungo digiuno da scrbacchino di blog, per informarvi che sono tornato a scrivere qui: Collaboratorio167 con un gruppo di amici.

Chiunque fosse interessato a continuare a leggermi, mi troverà qui. E troverà anche un gruppo di persone con interessi eterogenei che vuole parlare di ciò che gli piace, approfondendo i temi più svariati.

Dateci un’occasione e non ve ne pentire (?).

E poi, ci sono io.

Vi aspetto di là,

Cya.

Lascia un commento

Archiviato in Diario, Varie ed Eventuali

Citazioni #63 – Ultimo Post

And now it’s time for one last bow
Like all your other selves
Eleven’s hour is over now
The clock is striking twelve’s

2 commenti

Archiviato in Rubriche

Citazioni #62

– Whole class… On women. Time was, you just had to figure them out. solving the puzzle was half the fun.
– You solve a lot of puzzles in your day?
– A few. Some more worth it than others.
– One was… Especially rewarding.
– What Happened?
– I died.
– Oh. I guess she wasn’t a level 7, sir.

Lascia un commento

Archiviato in Rubriche

Riflessioni a Caso #43

La cosa più intelligente che avrei dovuto fare per sfruttare al meglio questa domenica era quella di restare a letto e continuare a rotolarmi tra le coperte, come un cinghiale si rotolerebbe nel fango.

Poi mi sono alzato.

Lascia un commento

Archiviato in Riflessioni, Rubriche

Riflessioni a Caso #42

Solo perché non ti spedisco a farmi un panino ogni volta che ti parlo, non significa che non ti consideri donna. Cazzo… Posso farmeli da solo, i miei panini.

Lascia un commento

Archiviato in Riflessioni, Rubriche